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sabato 14 luglio 2012

MACAO PRESENTA: NOTTE SENZA FINE: Melancholia di Lav Diaz


 
MACAO PRESENTA
  • lunedì
  • 21.30

“NOTTE SENZA FINE: Melancholia di Lav Diaz”

Introducono alla visione RINALDO CENSI (ha insegnato storia del cinema a Pavia, curatore del cofanetto delle Histoire(s) du cinema di Godard, e critico e studioso di cinema sperimentale) e ENRICO GHEZZI (critico cinematografico, scrittore, autore. E' il responsabile di alcuni dei programmi più conosciuti di Rai Tre: Blob, Fuori Orario, Schegge, Magnifica Ossessione, Zaùm).

La durata del film (otto ore), i mezzi impiegati per realizzarlo, la difficile collocazione in una normale dimensione distributiva, sono alcune delle questioni che il film stesso sollecita. Oltre a questo, lo stile del film, la sua struttura, rendono evidente una “differenza” espressiva, lontana dagli stereotipi di molto cinema contemporaneo. Nel film di Lav Diaz, la dimensione politica (il film è la storia delle conseguenze di una repressione sanguinosa: ribelli e combattenti sono stati braccati dal regime militare, eliminati e fatti sparire; altri sono fuggiti, sopravissuti) ingloba forma e contenuto. Emerge dal film una politica della messa in scena: forma ellittica, lunghe inquadrature, sbilanciamenti e torsioni narrative. E una messa in scena della politica, ma senza facili didatticismi da “cinema di denuncia”: la politica è qui connessa a una forma memoriale, allusiva (emerge da oggetti, stralci di lettere, una canzone, una postura, uno sguardo: dal non detto), eppure è sempre lì, presente nel film. Anche questi sono aspetti su cui varrebbe la pena riflettere e discutere. Un cinema “differente” è oggi ancora possibile?


“Più ci si pensa e più appare curiosa la metamorfosi di Lav Diaz, questo piccolo cineasta dalla lunga criniera, un guitar hero ossessionato dal feedback, qualcuno che ha mosso i primi passi nel cinema commerciale filippino realizzando film pito-pito, produzioni low budget, girate e montante nel giro di due settimane, per poi giungere a realizzare magnifici corpus filmici dalla durata impossibile: veri e propri flussi visivi capaci di captare i magmatici movimenti dell’anima che riverberano e si materializzano nel suo paese, le Filippine.
(....)
Filmato in bianco e nero, Melancholia ipnotizza, spiazza per le sue invenzioni: è un film politico, per questo urgente. Bene ha fatto dunque la giuria della sezione Orizzonti capitanata da Chantal Akerman a premiarlo come miglior lavoro di finzione. Dietro la storia di una persecuzione politica (il regime filippino e la pulizia etnica dei suoi elementi considerati sovversivi, specie se comunisti) si muove un organismo complesso, una specie di fiore, una pianta esotica in perenne germoglio, che muta forma, specie, conformazione. Un film filippino di otto ore può interessare? Più o meno di un film etiope? Altra questione urgente, su cui sarebbe il caso di riflettere. Non ora, però. Nessuna polemica può smorzare la forza, il magnetismo che questo organismo in movimento sprigiona.
(….)
Questo film è un lungo e maestoso riverbero, simile a quello distorto che emerge dalla chitarra dello stesso Diaz in una sequenza del film. Il caos sonoro, la dissonanza, la materia sonica: il dolore e l’insensatezza trovano qui un’improvvisa forma di emersione. O una valvola di sfogo?”

Estratto da “Melancholia: l’ambiguo commercio con i propri fantasmi”. Di Rinaldo Censi.

Viale Molise, 68, Milano


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