Legambiente
salveremo Paestum
con l'azionariato
quote da 50 euro
Potranno essere acquistate da comuni cittadini
«Denaro utile al recupero di un'area gioiello»
SALERNO - «In un paese che svende sempre più i propri gioielli di famiglia, noi vogliamo comprarli.». Così il presidente di Legambiente Campania Michele Buonomo, a margine della presentazione del progetto «Paestumanità. Comprare per salvaguardare», presentato questa mattina lunedì 26 a Paestum, l'antica colonia greca di Poseidonia. Al centro del progetto, promosso da Legambiente e dal circolo Freewheeling di Paestum, un'operazione di azionariato popolare per l'acquisto, il recupero e la salvaguardia del sito archeologico di Poseidonia-Paestum.
LE QUOTE - L'obiettivo, attraverso l'acquisto di quote da 50 euro ciascuna, è il recupero dei terreni compresi all'interno delle mura antiche, di proprietà privata e sui quali non può per questo intervenire il ministero dei Beni Culturali. «Vogliamo tutelare uno dei 48 siti Unesco da tempo bisognoso di interventi urgenti di recupero - ha proseguito Buonomo - Ci rivolgiamo ai cittadini che, grazie al versamento di una quota di 50 euro, si riapproprierebbero di un'area oggi off limit. Questi terreni, che sorgono proprio a ridosso dell'area archeologica conosciuta in tutto il mondo, sarebbero oggetto di studio e ricerche da parte degli enti preposti, ma diventerebbero anche oggetto di iniziative a tutto allo studio».
- Se per Paestum serve una colletta mondiale
Il sito tra i detriti e lo spreco di un sentiero con il teck. La mostra da 400 mila euro chiusa il giorno del debutto. Distrutto il sottopassaggio costato 2 milioni Il sito tra i detriitIl sito tra i detriit Arrivi? Boh... Partenze? Boh... Anche le tabelle degli orari sono state sfondate, strappate, distrutte. C’è da diventar paonazzi di vergogna, alla stazione di Paestum.
Degrado, sporcizia, detriti... Chi altri butterebbe via un patrimonio come questo presentandosi ai turisti con un biglietto da visita così fetido? Legambiente non si fida più, di chi ha in mano quel tesoro. E lancia una colletta mondiale per comprare i terreni privati dell’area archeologica: vanno messi in salvo. Sia chiaro: il solo affresco della «Tomba del tuffatore» è un tale capolavoro che, se anche non ci fossero il tempio di Nettuno e la «Basilica» e l’Agorà e le altre meraviglie del museo archeologico come il vaso del ratto di Europa o la cosiddetta «Camera del finanziere», varrebbe la pena di venirci anche a piedi, a Paestum. Nonostante il traffico da incubo della strada che scende da Battipaglia solcando l’ammasso edilizio più brutto del pianeta. Nonostante l’orrore di bar «ingentiliti» con frontoni, colonne e finte statue antiche. Nonostante le giostre piazzate dentro l’area archeologica e le arcate di luminarie che addobbano la strada che costeggia le rovine manco fosse la sagra strapaesana d’un borgo di periferia. Guai a dirlo, da queste parti, che il «contorno» dei resti archeologici è indegno di un sito Unesco e più ancora dell’incanto che stregò uomini quali Friedrich Nietzsche: «È come se un dio, qui, avesse costruito con enormi blocchi di pietra la sua casa». Guai a scrivere, come ha fatto giorni fa Alessandra Arachi su questo giornale, della discarica a cielo aperto di lastre di Eternit e copertoni e lavatrici che copre la Necropoli del Gaudo: «Volete fare scappare turisti? Parlate delle cose belle, piuttosto! Il cielo! Il mare! I templi! La mozzarella!» Il guaio è che sono state proprio le ultime «brillanti idee» delle amministrazioni locali ad avere stuprato l’immagine di Paestum agli occhi di chi, dopo aver sognato di visitare queste celeberrime rovine, va a sbattere contro tre accessi da togliere il fiato. Non è facile spiegare a uno straniero che alcune decine di anni, da quando esiste una coscienza dell’orrore, non sono bastate a demolire e rimuovere, come proposto anche da uno studio di fattibilità della Fondazione Paestum, in testa il presidente Emanuele Greco e Ottavia Vozza, la strada che taglia le rovine spaccando in due l’anfiteatro e il Foro. Che l’ingegnere Raffaele Petrilli, il quale costruì la Tirrena inferiore nel 1829, sia stato un somaro criminale a segare in due le rovine e addirittura l’antica arena, è un dato acquisito. Che l’Italia non abbia ancora rimediato a quello sconcio è incredibile. Tanto più che negli ultimi anni con il solo Pit (progetto integrato territoriale) a Paestum sono stati investiti circa 22milioni di euro. Una somma enorme. Segnata, oltre che da un restauro dei templi principali e una sistemazione delle mura a porta Serena, da alcuni sprechi stupefacenti. Come l’acquisto per 3 milioni e 98mila euro, una enormità visto lo stato dell’immobile, del rudere di uno stabilimento Cirio costruito dov’era il cosiddetto tempio di Santa Venera. Dovevano farci questo e quello: è ancora là, abbandonato alle sterpaglie. Per non dire dei 258mila euro spesi per due «giardini» davanti ai templi dove avrebbe dovuto rinascere la «rosa damascena» ma subito sfasciati dalla mancanza di manutenzione. O della mostra sulla Poliorcetica (l’arte di assediare ed espugnare le città fortificate) allestita in una delle due magnifiche torri sopravvissute, costata 400mila euro e chiusa la sera stessa dell’inaugurazione: «Mancano i custodi». O di una nuova strada che ha ridotto a uno stretto avvallamento il grande fossato dove scorreva il fiume e lungo la quale corre oggi parallelo un sentiero pavimentato in legno col teck. Manco si trattasse della terrazza di un circolo nautico.
Ma sono i tre accessi principali i luoghi in cui puoi vedere meglio come hanno buttato i soldi. La stazione ferroviaria, poche decine di metri dietro il museo, potrebbe essere una straordinaria opportunità turistica, tanto più nel contesto del traffico infernale di auto e camion dell’area. Ma è un disastro. Vuota la biglietteria. Vuoto l’ufficio turistico. Rotto lo schermo elettronico coi treni in partenza e in arrivo. Strappati e stracciati gli orari nella bacheca. Devastato il sottopassaggio pedonale, con tanto di sedia mobile per i disabili già arrugginita, costato due milioni di euro. In condizioni ancora più agghiaccianti, però, sono i parcheggi costruiti agli ingressi del sito archeologico. «Visitor center» costruiti col cartongesso (sic!) e subito sventrati. Bagni pubblici cannibalizzati, lordati e spaccati. Siringhe d’eroina ovunque. Rivestimenti distrutti. Impianti elettrici svuotati delle centraline e dei fili. Tombini scoperchiati (il primo turista che ci si spaccherà una gamba finirà sulla Cnn ...) perché i vandali si son portati via le piastre. Sbarre elettroniche dei parcheggi divelte. Sembrano luoghi abbandonati da decenni. Una targhetta spiega che sono stati inaugurati l’8 giugno 2009. C’è poi da stupirsi dei dati sugli accessi? Dice un documento del ministero dei Beni Culturali che il circuito (museo e scavi insieme) ha avuto nel 2011 solo 20.034 visitatori paganti, il museo 45.368, i templi 98.125. Pochissimi, rispetto alle potenzialità: pochissimi. È in questo contesto che Legambiente, ieri mattina, per bocca del segretario regionale Michele Buonomo («In un paese che svende sempre più i propri gioielli di famiglia, noi vogliamo comprarli») e dei generosi militanti locali che giorno su giorno cercano di arginare il degrado, ha lanciato un progetto. Si chiama «PaestUmanità» e si propone di raccogliere con una colletta internazionale, tra privati e istituzioni, cinque milioni di euro per comperare i 95 ettari che fanno parte del parco archeologico e sono oggi in mano a privati. Contadini che, per sfruttare la terra, «raschiano coi trattori ogni anno di più il terreno fino a rischiare di compromettere quanto c’è sotto». Mettiamo il caso che l’operazione, grazie a quote da 50 euro, vada in porto: cosa se ne faranno gli ambientalisti di quei terreni? «Niente. Taglieremo l’erba e basta. Poi, se lo Stato vorrà avviare una nuova campagna di scavi, diremo: ecco qua, prendete pure. Ma intanto, fino a quel momento, vogliamo mettere in salvo ciò che resta di quel patrimonio che appartiene a noi di Paestum e a tutta l’umanità». Gian Antonio Stella] Se per Paestum serve una colletta mondiale
Il sito tra i detriti e lo spreco di un sentiero con il teck.
La mostra da 400 mila euro chiusa il giorno del debutto.
Distrutto il sottopassaggio costato 2 milioni
Il sito tra i detriitIl sito tra i detriit
Arrivi? Boh... Partenze? Boh... Anche le tabelle degli orari sono state sfondate, strappate, distrutte. C'è da diventar paonazzi di vergogna, alla stazione di Paestum. Degrado, sporcizia, detriti... Chi altri butterebbe via un patrimonio come questo presentandosi ai turisti con un biglietto da visita così fetido? Legambiente non si fida più, di chi ha in mano quel tesoro. E lancia una colletta mondiale per comprare i terreni privati dell'area archeologica: vanno messi in salvo.
Sia chiaro: il solo affresco della «Tomba del tuffatore» è un tale capolavoro che, se anche non ci fossero il tempio di Nettuno e la «Basilica» e l'Agorà e le altre meraviglie del museo archeologico come il vaso del ratto di Europa o la cosiddetta «Camera del finanziere», varrebbe la pena di venirci anche a piedi, a Paestum. Nonostante il traffico da incubo della strada che scende da Battipaglia solcando l'ammasso edilizio più brutto del pianeta. Nonostante l'orrore di bar «ingentiliti» con frontoni, colonne e finte statue antiche. Nonostante le giostre piazzate dentro l'area archeologica e le arcate di luminarie che addobbano la strada che costeggia le rovine manco fosse la sagra strapaesana d'un borgo di periferia.
Guai a dirlo, da queste parti, che il «contorno» dei resti archeologici è indegno di un sito Unesco e più ancora dell'incanto che stregò uomini quali Friedrich Nietzsche: «È come se un dio, qui, avesse costruito con enormi blocchi di pietra la sua casa». Guai a scrivere, come ha fatto giorni fa Alessandra Arachi su questo giornale, della discarica a cielo aperto di lastre di Eternit e copertoni e lavatrici che copre la Necropoli del Gaudo: «Volete fare scappare turisti? Parlate delle cose belle, piuttosto! Il cielo! Il mare! I templi! La mozzarella!»
Il guaio è che sono state proprio le ultime «brillanti idee» delle amministrazioni locali ad avere stuprato l'immagine di Paestum agli occhi di chi, dopo aver sognato di visitare queste celeberrime rovine, va a sbattere contro tre accessi da togliere il fiato. Non è facile spiegare a uno straniero che alcune decine di anni, da quando esiste una coscienza dell'orrore, non sono bastate a demolire e rimuovere, come proposto anche da uno studio di fattibilità della Fondazione Paestum, in testa il presidente Emanuele Greco e Ottavia Vozza, la strada che taglia le rovine spaccando in due l'anfiteatro e il Foro. Che l'ingegnere Raffaele Petrilli, il quale costruì la Tirrena inferiore nel 1829, sia stato un somaro criminale a segare in due le rovine e addirittura l'antica arena, è un dato acquisito. Che l'Italia non abbia ancora rimediato a quello sconcio è incredibile. Tanto più che negli ultimi anni con il solo Pit (progetto integrato territoriale) a Paestum sono stati investiti circa 22milioni di euro. Una somma enorme. Segnata, oltre che da un restauro dei templi principali e una sistemazione delle mura a porta Serena, da alcuni sprechi stupefacenti.
Come l'acquisto per 3 milioni e 98mila euro, una enormità visto lo stato dell'immobile, del rudere di uno stabilimento Cirio costruito dov'era il cosiddetto tempio di Santa Venera. Dovevano farci questo e quello: è ancora là, abbandonato alle sterpaglie. Per non dire dei 258mila euro spesi per due «giardini» davanti ai templi dove avrebbe dovuto rinascere la «rosa damascena» ma subito sfasciati dalla mancanza di manutenzione. O della mostra sulla Poliorcetica (l'arte di assediare ed espugnare le città fortificate) allestita in una delle due magnifiche torri sopravvissute, costata 400mila euro e chiusa la sera stessa dell'inaugurazione: «Mancano i custodi». O di una nuova strada che ha ridotto a uno stretto avvallamento il grande fossato dove scorreva il fiume e lungo la quale corre oggi parallelo un sentiero pavimentato in legno col teck. Manco si trattasse della terrazza di un circolo nautico.
Ma sono i tre accessi principali i luoghi in cui puoi vedere meglio come hanno buttato i soldi. La stazione ferroviaria, poche decine di metri dietro il museo, potrebbe essere una straordinaria opportunità turistica, tanto più nel contesto del traffico infernale di auto e camion dell'area.
Ma è un disastro. Vuota la biglietteria. Vuoto l'ufficio turistico. Rotto lo schermo elettronico coi treni in partenza e in arrivo. Strappati e stracciati gli orari nella bacheca. Devastato il sottopassaggio pedonale, con tanto di sedia mobile per i disabili già arrugginita, costato due milioni di euro.
In condizioni ancora più agghiaccianti, però, sono i parcheggi costruiti agli ingressi del sito archeologico. «Visitor center» costruiti col cartongesso (sic!) e subito sventrati. Bagni pubblici cannibalizzati, lordati e spaccati. Siringhe d'eroina ovunque.
Rivestimenti distrutti. Impianti elettrici svuotati delle centraline e dei fili. Tombini scoperchiati (il primo turista che ci si spaccherà una gamba finirà sulla Cnn ...) perché i vandali si son portati via le piastre. Sbarre elettroniche dei parcheggi divelte. Sembrano luoghi abbandonati da decenni. Una targhetta spiega che sono stati inaugurati l'8 giugno 2009. C'è poi da stupirsi dei dati sugli accessi? Dice un documento del ministero dei Beni Culturali che il circuito (museo e scavi insieme) ha avuto nel 2011 solo 20.034 visitatori paganti, il museo 45.368, i templi 98.125. Pochissimi, rispetto alle potenzialità: pochissimi.
È in questo contesto che Legambiente, ieri mattina, per bocca del segretario regionale Michele Buonomo («In un paese che svende sempre più i propri gioielli di famiglia, noi vogliamo comprarli») e dei generosi militanti locali che giorno su giorno cercano di arginare il degrado, ha lanciato un progetto. Si chiama «PaestUmanità» e si propone di raccogliere con una colletta internazionale, tra privati e istituzioni, cinque milioni di euro per comperare i 95 ettari che fanno parte del parco archeologico e sono oggi in mano a privati. Contadini che, per sfruttare la terra, «raschiano coi trattori ogni anno di più il terreno fino a rischiare di compromettere quanto c'è sotto».
Mettiamo il caso che l'operazione, grazie a quote da 50 euro, vada in porto: cosa se ne faranno gli ambientalisti di quei terreni? «Niente. Taglieremo l'erba e basta. Poi, se lo Stato vorrà avviare una nuova campagna di scavi, diremo: ecco qua, prendete pure. Ma intanto, fino a quel momento, vogliamo mettere in salvo ciò che resta di quel patrimonio che appartiene a noi di Paestum e a tutta l'umanità».
Gian Antonio Stella
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