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lunedì 27 gennaio 2020

Salvini ha Fallito


Salvini ha Fallito

Dunque il Muro ha tenuto. Dopo 50 anni resiste l'ultimo bastione di una sinistra che nasceva "municipale" e si sognava "nazionale". Dopo 74 anni resta vero quello che Togliatti immaginava nel settembre del '46 a Reggio: l'Emilia rossa esiste ancora, anche se il ceto medio soffre. Nonostante un assedio che dura da otto mesi, i "barbari" non l'hanno espugnata. Alle europee del 26 maggio 2019 la Lega era primo partito con il 33,7 per cento.

Oggi avanza ma non sfonda. Salvini ha mancato la spallata: il trionfo è fallito, Bonaccini ha salvato la Stalingrado d'Italia, e insieme anche la sinistra e il governo del Paese. Sarà "uno scontro tra liberazione e resistenza", aveva detto Giorgetti. Il successo del governatore uscente dimostra il contrario: non c'era proprio niente da liberare.

Il voto in Emilia Romagna era davvero un doppio referendum. Il primo era proprio su Salvini: dopo l'estate pazza del "Papeete", i silenzi sui 49 milioni e le cene al Metropol, la ridicola postura da Silvio Pellico sulla nave Gregoretti e la cinica ostensione dei bambini su Bibbiano, i digiuni gandiani e le abbuffate di culatello, Capitan Mitraglia può essere davvero il Conducator di questa Nuova Destra estrema e di governo, che i cittadini scelgono oggi per l'Emilia, domani per l'Italia?

Il "no" è arrivato forte e chiaro. Salvini non ce l'ha fatta, nel luogo in cui mezzo secolo di egemonia Pci-Pds-Ds-Pd hanno cementato un modello di sviluppo: prima regione italiana per reddito pro-capite con 22.463 euro e per quantità e qualità di asili nido, seconda per Pil pro-capite con 32.468 euro e per Livelli essenziali di assistenza nella sanità, ai massimi nell'export e ai minimi nella disoccupazione.

Questo cemento ha sostenuto il Muro.

Ha neutralizzato, al centro, l'incomprensibile "voglia di cambiamento" maturata in quella che Luca Ricolfi chiama "la società signorile di massa" (che nella sinistra emiliana ha trovato il suo archetipo). E ha polverizzato, in periferia, la forte "domanda di protezione" incubata dal ceto medio impaurito di cui parlava Togliatti. Salvini ha provato a scavalcarlo, il muro, "delocalizzando" la battaglia sull'Emilia e trasformandola in una sfida nazionale sui sentimenti e sui valori.

Ma il tentativo non gli è riuscito. La sua era una "proposta onnivora" (copyright Gabriele Romagnoli): a Maranello con i ricchi in Ferrari, a Brescello col compagno Peppone. Ma non è bastata. Come non è bastata l'odiosa "notte dei citofoni" bolognese (a suo modo una prodromica "notte dei Cristalli" italiana, che ha già fatto scuola a Mondovì). Salvini ha provato a coprire un'azione immorale da piccola Gestapo (la caccia "porta a porta" allo straniero) con una narrazione "valoriale" da gran benefattore (la "lotta contro la droga").

Ma anche nell'era del cupio dissolvi collettivo c'è un limite all'inciviltà e alla mistificazione. Gli emiliani (che come tutti gli italiani da ministro dell'Interno non lo hanno mai visto combattere sul campo i cartelli del narcotraffico né bussare alla porta degli 'ndranghetisti calabresi)
non gli hanno creduto.

Ha azzardato l'ennesima forzatura, come Trump quando diceva "ormai potrei andare sulla Quinta Strada sparando ai passanti e mi voterebbero lo stesso". Invece che sulla Quinta Strada è andato al Pilastro, invece che sparare ha citofonato. È troppo, anche per una regione che ha smarrito le antiche certezze e per un'Italia irrorata dalla sottile vena di "fascismo eterno" riscoperta da Umberto Eco.

Così si spiega l'esito del secondo referendum, quello sulla credibilità della sinistra riformista come forza di governo. La vittoria è netta, e va molto ai di là delle collaudate capacità di Bonaccini e della riconferma di una "best practice" di gestione del potere e del territorio, cioè della filiera partito-sindacato-cooperativa-municipalizzata-cassa di risparmio-Arci-Casa del Popolo (per dirla con Francesco Guccini). La posta in gioco era infinitamente più alta, e riguardava un intero sistema di valori che deve innervare e vivificare tutto questo, e che il Pd in questi ultimi anni ha avuto enormi difficoltà a difendere. Il segretario e il suo gruppo dirigente, come denuncia Emanuele Macaluso, hanno faticato a contrastare Salvini sul suo terreno: la battaglia ideale e culturale, i valori, i principi, il progetto di società che la sinistra propone. Eppure l'Emilia era lì a disposizione, con la sua storia e il suo civismo, ad offrire nel vissuto tutto ciò che serve a questo storytelling: la "sala macchine del riformismo" italiano, le prime camere del lavoro e i primi consorzi socio-sanitari, il primo asilo nido aperto e il primo manicomio chiuso.

Tutto ciò che di più avanzato abbiamo conosciuto in Italia ha avuto origine in quel lembo di terra feconda racchiusa "tra la via Emilia e il West". Bastava questo, per rimotivare un popolo fiaccato ma non ancora rassegnato.

E il merito di averlo finalmente capito è soprattutto delle sardine. Alla faccia di chi li ha derisi per due mesi di fila (chiedendogli "qual è il vostro programma" o "cosa proponete sulla prescrizione", come fossero pesciolini da paranza da friggere nei talk show) Mattia Santori e gli altri ragazzi hanno risvegliato quel popolo, ridandogli dignità e orgoglio.

Lo hanno stanato loro sì "casa per casa", richiamandolo in piazza e poi alle urne. La sinistra li deve ringraziare. Zingaretti lo ha fatto, con onestà e umiltà. Ma ora deve aprire anche e soprattutto a loro la casa comune, in un congresso di scioglimento e di ricostruzione di una nuova forza riformista che proprio la vittoria in Emilia rende ancora più urgente.

Molto deve cambiare, adesso. Anche nel governo del Paese, che comunque si consolida. Ma la minaccia della destra è tutt'altro che scongiurata: con la Calabria appena espugnata, la triade Salvini-Meloni-Berlusconi conquista l'undicesima regione consecutiva dall'inizio della legislatura.

Ma con questi risultati il Pd può uscire dalla fase della subalternità, e rifondare su basi diverse l'alleanza con M5S. Il Movimento non c'è più, questa è una certezza: decapitato e senza bussola, svanisce proprio dove tutto era cominciato.

A Bologna l'8 settembre 2007 Beppe Grillo intonava il primo Vaffa Day e il 20 marzo 2010 navigava su Piazza Maggiore a bordo di un canotto sospinto dall'onda mai vista di 50mila braccia tese che lo hanno spinto verso Palazzo Chigi e che ora sono sparite nella risacca. Di Maio se ne faccia una ragione: complice l'inadeguatezza della classe dirigente e la vaghezza identitaria del non-partito pentastellato, il tripolarismo italiano è già morente.

L'ha stroncato "quel gran pezzo dell'Emilia" che nonostante tutto resta ancora "un buon partito per l'Italia". Il grande Eddy Berselli, che lo scrisse per primo 16 anni fa, ne sarebbe fiero. E noi con lui.

Di Massimo Giannini


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