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giovedì 4 giugno 2020

Licenziamo: Salvini, Meloni, Tajani, per Adunata Infettivora


Licenziamo: Salvini, Meloni, Tajani, per Adunata Infettivora

Chiedo siano presi seri Provvedimenti per Salvini, Meloni, Tajani, Franzoni e Pappalardo.

Illustrissimo Presidete Conte,
Visto i fatti gravissimi del 2 Giugno a Roma, chiedo che vengano presi i giusti provvedimenti contro Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Nicola Franzoni e Antonio Pappalardo per non aver rispettato i decreti sicurezza e le restrizioni anti Covid-19 in vigore.
Gli stessi hanno manifestato non indossando sempre la mascherina creando assembramenti ed incitando centinaia di persone ad abbassare la guardia contro il pericolo di trasmissione del virus non mantenendo il distanziamento sociale previsto.
Questo è un fatto gravissimo ed irrispettoso per tutto il popolo Italiano
 dopo 3 mesi di isolamento e sacrifici.
Chiedo le dimissioni volontarie di Salvini e Meloni dal loro partito e che siano condannati applicando le leggi ed i decreti in vigore insieme agli esponenti politici sopra citati.
Migliaia di cittadini sono stati multati negli ultimi mesi per non aver rispettato le leggi: dunque nessuno può ritenersi al di sopra della legge, sbefeggiando il governo e chi come me ha perso un familiare per colpa di questo nemico invisibile.
Credo che Lei Signor Presidente possa indirizzare questa mia richiesta a chi di dovere.
Le porgo i miei più Cordiali Saluti,
con grande stima, nella Sua Persona ed operato...
In fede

Un cittadino Italiano

FIRMA QUI

https://secure.avaaz.org/it/community_petitions/presidente_del_consiglio_giuseppe_conte_chiediamo_le_dimissioni_di_salvini_e_meloni/



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lunedì 1 giugno 2020

Riformare la Polizia Statunitense

Riformare la Polizia Statunitense


Quando ha cominciato a girare in rete il filmato che mostrava gli ultimi momenti di vita di George Floyd, molti lo hanno guardato in preda allo sgomento e alla ripulsione. Floyd, un afroamericano di 46 anni, è morto il 25 maggio, soffocato mentre un agente della polizia di Minneapolis gli schiacciava il collo con il ginocchio durante un arresto.

Pochi però hanno provato la stessa terribile familiarità che ha sentito Valerie Castile. Quattro anni fa aveva guardato un filmato simile, in cui suo figlio Philando moriva dopo che un agente gli aveva sparato durante un controllo stradale alla periferia di Minneapolis. La sua morte aveva gettato benzina sul fuoco del dibattito nazionale sull’uso della forza contro i neri da parte della polizia, e le autorità del Minnesota avevano promesso riforme.

Quindi perché, si chiede Castile, ora deve guardare un altro video di un afroamericano
 che muore per mano della polizia?

“Sono distrutta, ho il cuore spezzato”, racconta parlando della morte di Floyd. “La domanda è sempre la stessa: perché? Perché tutto questo continua a succedere?
Perché nessuno ne paga le conseguenze?”.

Mele marce
Per rispondere alle domande di Castile e capire come mai il cambiamento sia stato così lento, il Marshall Project ha analizzato i tentativi di riforma delle forze di polizia da parte delle autorità di Minneapolis e del Minnesota, uno stato a maggioranza bianca. Le opinioni degli esperti, i documenti giudiziari, il fallimento delle proposte di legge e un rapporto del 2015 del dipartimento di giustizia sull’operato della polizia di Minneapolis puntano tutti nella stessa direzione: anche se sono state introdotte alcune modifiche, gli organi preposti non hanno potuto né voluto individuare e rimuovere dal servizio gli agenti colpevoli di abusi. Inoltre non sono stati capaci di fissare criteri chiari sull’uso della forza e sulle tecniche di risoluzione pacifica dei conflitti.

Secondo alcuni osservatori locali il dipartimento di polizia di Minneapolis non ha introdotto i cambiamenti suggeriti dalle autorità federali per allontanare le mele marce. Almeno due poliziotti coinvolti nell’omicidio di Floyd, tra cui quello che gli ha premuto il ginocchio sul collo, in passato erano stati oggetto di reclami. Il dipartimento, inoltre, ha continuato ad autorizzare le prese al collo, in alcune circostanze addirittura con l’obiettivo di uccidere.

“Alla fine tutto si riduce alla definizione di ‘ragionevole uso della forza’”, sottolinea Castile. “Cosa c’era di ragionevole nel fatto che uno di loro ha applicato quasi cento chili
di pressione sul collo di quell’uomo?”, si chiede.

Gli agenti di Minneapolis sono autorizzati
 a soffocare un sospetto fino a fargli perdere conoscenza ?

A Minneapolis, dove secondo l’ultimo censimento gli afroamericani rappresentano un quinto della popolazione, la necessità di una riforma del dipartimento di polizia era già evidente nel 2012, quando l’allora capo della polizia Janeé Harteau, appena nominata, promise di apportare grandi cambiamenti.

Harteau, primo capo della polizia donna e dichiaratamente gay, si era presentata come una riformatrice progressista. Pochi mesi dopo la nomina, chiese al dipartimento di giustizia di esaminare il comportamento della polizia di Minneapolis per rafforzare i controlli sugli agenti
 e la fiducia della comunità.

Il dipartimento di giustizia ha presentato la sua “analisi diagnostica” sulla città nel 2015, descrivendo un sistema “estremamente inefficace” nell’individuare gli agenti problematici. Il rapporto consigliava al dipartimento di polizia di automatizzare il sistema che dovrebbe segnalare gli abusi e allertare i superiori quando un agente accumula troppi reclami. Il documento suggeriva inoltre che il dipartimento migliorasse il programma formativo basato su un’alternativa alle misure disciplinari.

Nel caso in cui un agente fosse oggetto di un reclamo, il programma permette ai superiori di sottoporlo a una sessione formativa su un particolare aspetto della politica del dipartimento anziché sospenderlo o imporre una sanzione disciplinare. Secondo il dipartimento di giustizia il programma era pieno di “incongruenze e confusione”.

Harteau ha accettato di aggiornare il sistema. Inoltre ha ridotto le circostanze in cui gli agenti sono autorizzati a uccidere un sospetto. Nel 2016 il dipartimento ha riscritto il suo regolamento sull’uso della forza concentrandosi sulla “sacralità della vita”, con nuove regole che imponevano agli agenti di intervenire per fermare un collega che stesse commettendo un abuso.


Questi passi avanti, a cominciare dalla richiesta di un esame da parte delle autorità federali, sono stati elogiati da diversi sostenitori di una riforma politica a livello nazionale. Ma alcuni aspetti importanti sono stati trascurati: il dipartimento non ha rivisto le regole sulle prese al collo, una tecnica già aspramente criticata in tutto il paese a causa di altri incidenti mortali. Oggi gli agenti di polizia di Minneapolis sono ancora autorizzati a soffocare un sospetto fino a fargli perdere conoscenza se ritengono che stia opponendo “resistenza attiva”, come precisato nel regolamento del dipartimento. Soffocare fino a uccidere è considerato accettabile quando l’uso letale della forza è giustificato. Né Harteau né il dipartimento di polizia hanno voluto rilasciare dichiarazioni per questo articolo.

Anche il tenente Bob Kroll, presidente della Federazione degli agenti di polizia di Minneapolis, si è rifiutato di commentare. Kroll, che è bianco, è stato citato in una causa per discriminazione razziale contro il dipartimento di polizia intentata da un gruppo di agenti neri e ispanici, tra cui l’attuale capo della polizia. La denuncia, risalente al 2007, sosteneva che Kroll aveva sfoggiato apertamente un simbolo suprematista sul suo giubbotto da motociclista.

Forza non giustificata
Nei giorni scorsi il sindaco di Minneapolis Jacob Frey ha dichiarato che la manovra eseguita su Floyd non era autorizzata e non dovrebbe mai essere adottata. Frey ha invitato i pubblici ministeri locali a incriminare Derek Chauvin, l’agente che è stato filmato con il ginocchio sul collo di Floyd.

Secondo Teresa Nelson, direttrice legale dell’American civil liberties union (Aclu) del Minnesota, Chauvin ha violato il regolamento del dipartimento di polizia sulle prese al collo, perché la sua manovra ha provocato la morte dell’uomo in un contesto in cui l’utilizzo
della forza letale non era giustificato.

Gli ultimi istanti di vita di Floyd, in cui continuava a ripetere che non riusciva a respirare mentre Chauvin premeva sul suo collo, costituiscono evidentemente una violazione della politica del dipartimento sulla “sacralità della vita”, ha aggiunto Nelson, sottolineando che anche gli agenti rimasti a osservare la scena senza intervenire hanno trasgredito le regole del dipartimento. “Hanno clamorosamente ignorato il protocollo d’intervento. Ma resta il fatto che le regole del dipartimento permettono di far perdere conoscenza a un individuo, e questo è un problema”, accusa Nelson. “Spero che da questa vicenda nasca una riforma concreta”.

Secondo Nelson le modifiche alle regole sull’uso della forza hanno comunque permesso al dipartimento di licenziare tutti e quattro gli agenti coinvolti nella morte di Floyd nell’arco di 24 ore, con una rapidità che in passato era estremamente rara nei casi di abusi da parte della polizia.

Molti osservatori ritengono che le regole sulle prese al collo non siano l’unico ambito in cui la riforma delle forze dell’ordine di Minneapolis sia stata inefficiente. Gli stessi dubbi riguardano il sistema che dovrebbe identificare i “comportamenti problematici” da parte degli agenti. Al momento non è chiaro se il dipartimento abbia mai seguito le raccomandazioni
federali sull’automatizzazione del meccanismo.

“Non hanno mai riferito ai cittadini. È frustrante”, confessa Chuck Turchick, attivista per la responsabilizzazione delle forze dell’ordine che ha fatto parte del comitato creato per aiutare l’amministrazione a introdurre le riforme federali. “È stata una pagliacciata”, ricorda.

I registri dimostrano che Chauvin e uno degli altri tre agenti erano stati oggetto di diversi reclami.

Il dipartimento di polizia non ha voluto chiarire se in passato il sistema di allerta per gli abusi avesse già segnalato Chauvin o gli altri tre agenti coinvolti nella morte di Floyd. Ma i registri dimostrano che Chauvin e uno degli altri tre agenti erano stati oggetto di diversi reclami.

Dai documenti ufficiali, infatti, risulta che Chauvin, in servizio da diciannove anni, ha accumulato una decina di reclami da parte dei cittadini, ma non ha mai ricevuto sanzioni disciplinari. I documenti non indicano la natura o la severità dei reclami, e dato che i registri dell’attività formativa non sono pubblici non è chiaro se Chauvin sia stato sottoposto a sessioni
formative come alternativa alle sanzioni.

Gli archivi dei mezzi d’informazione rivelano che nell’arco di sei anni Chauvin è stato coinvolto in almeno tre episodi in cui un agente di polizia ha sparato a un sospetto. Nel 2006 Chauvin è stato posto in congedo retribuito dopo aver partecipato a un’operazione in cui un altro agente aveva ucciso un sospetto armato di coltello. Nel 2008 ha sparato a un ventunenne sospettato di aver picchiato una donna. Secondo il quotidiano St. Paul Pioneer Press, in quel caso gli agenti avevano sostenuto che l’uomo aveva cercato di afferrare la pistola di Chauvin o quella del collega, e che a quel punto Chauvin avesse aperto il fuoco. Nel 2011 Chauvin ha partecipato a un’operazione in cui un collega ha sparato a un uomo che secondo i testimoni aveva le mani in alto e si stava arrendendo. L’avvocato di Chauvin non ha voluto rilasciare dichiarazioni.

Secondo i registri comunali Tou Thao, un altro degli agenti coinvolti nella morte di Floyd, è stato oggetto di almeno sei reclami. In cinque casi non ha subìto alcuna sanzione, mentre per il sesto è ancora sotto inchiesta. Nel 2017 l’amministrazione comunale ha pagato un risarcimento di 27mila dollari a Lamar Ferguson, che aveva accusato Thao di avergli rotto i denti durante un arresto. In quell’occasione Thao aveva fermato Ferguson, che stava passeggiando insieme alla sua ragazza incinta, per chiedergli informazioni su alcuni suoi presunti parenti. La situazione era subito degenerata. L’avvocato di Thao non ha voluto rilasciare commenti.


L’idea che il dipartimento di polizia di Minneapolis fosse all’avanguardia nelle riforme era già scomparsa molto prima della morte di Floyd. A luglio del 2017 l’agente Mohamed Noor aveva ucciso Justine Ruszczyk Damond, un’insegnante di yoga australiana che aveva chiamato la polizia per denunciare un possibile stupro nei pressi della sua abitazione. Harteau si è dimessa pochi giorni dopo.

Noor, somalo-americano, è stato condannato a 12 anni di prigione per aver ucciso Damond, una donna bianca. L’amministrazione comunale ha pagato un risarcimento di venti milioni di dollari alla famiglia e agli avvocati di Damond. Dato che Noor non aveva registrato l’episodio con la donna attraverso la sua videocamera indossabile, il dipartimento ha aggiornato il suo protocollo, che oggi richiede l’utilizzo delle videocamere in ogni intervento da parte del corpo di polizia. Fonti ufficiali riferiscono che le videocamere degli agenti coinvolti nella morte di Floyd
erano attive durante l’operazione.

Suggerimenti ignorati
Il procuratore generale del Minnesota Keith Ellison si è detto consapevole dei problemi di lungo corso che affliggono le forze dell’ordine dello stato. “Finora le riforme sono state intermittenti, inadeguate o addirittura accantonate fino alla tragedia successiva”, ha dichiarato Ellison. “Quando non si verificano episodi drammatici, dopo un po’ le riforme vengono ignorate”.

Secondo Ellison è indispensabile un cambiamento politico e culturale per risanare il rapporto tra la polizia e le comunità del Minnesota, ma una modifica normativa può comunque essere utile. La pandemia di covid-19 ha fermato l’attività di un gruppo di lavoro “sui casi di uso letale della forza da parte delle forze dell’ordine” gestito da Ellison insieme al commissario statale per la sicurezza pubblica. A febbraio il gruppo ha pubblicato 28 raccomandazioni, tra cui nuovi standard formativi e la richiesta di un’indagine indipendente sull’uso letale della forza.

Tuttavia molti dei cambiamenti proposti devono essere approvati dal parlamento del Minnesota, e considerando il passato recente è difficile che vadano avanti. Dal 2015 a oggi, infatti, i parlamentari dello stato hanno presentato più di una decina di proposte di riforma delle forze di polizia, ma nessuna è mai stata approvata. Alcune leggi avrebbero modificato radicalmente gli standard sull’uso della forza, e avrebbero comportato l’apertura di indagini sugli incidenti mortali. Un’altra proposta di legge avrebbe dovuto finanziare l’attività formativa per superare i pregiudizi razziali e insegnare le tecniche di risoluzione pacifica dei conflitti agli agenti dei dipartimenti più grandi dello stato.

Alcune delle proposte di Ellison coinvolgerebbero il Peace officers standards and training board (Post), un’agenzia statale che gestisce le abilitazioni di tutte le forze dell’ordine del Minnesota. I suggerimenti del procuratore generale incrementerebbero la capacità del Post di sospendere o revocare le abilitazioni. Secondo Ellison allo stato attuale l’agenzia non è nelle condizioni di imporre standard adeguati, e il parlamento statale non ha voluto approvare le leggi che le avrebbero concesso questo potere. “In queste condizioni il Post non è una forza di cambiamento, ma una formalità”.

Ellison, che durante i sei anni trascorsi al congresso ha sottolineato più volte i problemi legati alle forze di polizia, ha annunciato che se dovesse ritenere che il procuratore statale Mike Freeman sta gestendo in modo inadeguato la morte di Floyd, chiederebbe al governatore di affidare il caso all’ufficio del procuratore generale. In questo modo Ellison potrebbe supervisionare le indagini.

Nel pomeriggio del 28 maggio, durante una conferenza stampa, Freeman ha dichiarato che “nessuno dovrebbe comportarsi” come Chauvin, ma ha precisato che “alcune prove non indicano la necessità di un processo penale”. Il procuratore ha promesso che “la giustizia non avrà fretta
 di emettere un verdetto”.
Chauvin è stato arrestato il giorno dopo con l’accusa di omicidio, ma non è chiaro se processarlo basterà a fermare le violente proteste che hanno spinto il governatore a chiedere l’intervento della Guardia nazionale.

E non è detto che un processo penale possa portare pace alla famiglia di Floyd. Dopo la morte di Philando Castile, nel 2016, l’agente Jeronimo Yanez è stato processato per omicidio, ma la giuria lo ha ritenuto innocente.

Alle persone come Valerie Castile, esasperate e convinte che non sia cambiato nulla, Ellison dice: “Posso dire solo una cosa a Valerie: dobbiamo provarci. Non voglio sostenere che le cose siano cambiate, ma posso promettere che faremo di tutto per cambiarle”.



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mercoledì 15 aprile 2020

FIRMA per COMMISSARIARE la SANITÀ LOMBARDA

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Milano 2030 denuncia le scelte della Giunta lombarda, causa del gravissimo impatto del Covid19 in Lombardia, e chiede la nomina di un commissario ad acta per la sanità regionale.

La frammentazione dell’assistenza territoriale, la decisione di trasferire i malati di Covid19 nelle RSA, lo scarso coinvolgimento della sanità privata lasciata libera di scegliere se e come collaborare, le cifre, esigue ai limiti del ridicolo, del bilancio regionale destinate alla gestione dell’emergenza, fanno della Lombardia l’area del mondo con il più alto tasso di casi e di decessi, con un prezzo gravissimo per il personale sanitario, i medici di base e gli ospiti delle residenze assistite.

Sono necessari provvedimenti immediati, che Milano 2030 propone in una lettera aperta scritta ai gruppi di opposizione del Consiglio Regionale per una unità di azione.

In particolare, la protratta insipienza e inattività della Giunta regionale configura - secondo Milano 2030 - quel pericolo grave che giustifica la nomina senza indugio in Regione Lombardia di un commissario ad acta.

Il modello lombardo di sanità, con il progressivo smantellamento della sanità pubblica, padre degli errori commessi, è stato consentito tra le altre cose dalla regionalizzazione della sanità, causa principale delle difficoltà di coordinamento che hanno ostacolato la tempestiva gestione dell’emergenza.

Milano 2030 chiede che questa crisi sia l’occasione anche per l’abbandono di qualunque proposta di regionalismo differenziato e auspica il ritorno ad una sanità uguale per tutti i cittadini, fondata su obiettivi di salute e non sul mercato e la concorrenza.



Milano 2030 è una rete di associazioni, partiti e movimenti politici della sinistra milanese che, nonostante le differenze, le divisioni e i punti di vista non sempre coincidenti, hanno scelto di provare a lavorare insieme su alcuni temi e progetti.


FIRMA QUI
 https://www.change.org/p/commissariare-la-sanit%C3%A0-lombarda-va-fatto-ora




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lunedì 13 aprile 2020

sabato 4 aprile 2020

Un Cristiano Non Può Votare Lega o il Vangelo o Salvini


Un Cristiano Non Può Votare Lega o il Vangelo o Salvini


PADRE ZANOTELLI: “UN CRISTIANO NON PUÒ VOTARE LEGA,
O IL VANGELO O SALVINI”

Un Cristiano Non Può Votare Lega o il Vangelo o Salvini

Padre Alex Zanotelli non usa mezzi termini, per esprimere il suo punto di vista sull’attuale situazione

politica e sociale in Italia: “Dobbiamo ancora uscire dalla sbornia sovranista. La gente vive in una bolla

coloniale. Ne sono convinto: non è concepibile per un cristiano votare Lega. O si sceglie il Vangelo o si

sceglie Salvini”. Il sacerdote sembra aver ben chiaro cosa dovrebbe fare l’esecutivo Pd-M5s:

“Innanzitutto abolire i due assurdi Decreti Sicurezza e la legge Bossi-Fini”.



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giovedì 2 aprile 2020

Firma per Cancellare i Programmi di Barbara D’Urso

È ora di dire basta all’omicidio   dei neuroni dei telespettatori.   Non è possibile continuare con questa   ributtante e schifosa spazzatura


È ora di dire basta all’omicidio
 dei neuroni dei telespettatori.
 Non è possibile continuare con questa
 ributtante e schifosa spazzatura

Purtroppo sappiamo la caratura culturale dei suoi programmi, ma questa volta ha superato il limite invitando in diretta Salvini e PREGANDO in diretta insieme a lui.
Ricordiamoci che l’Italia è un paese laico e che abbiamo i nostri luoghi di culto e sacerdoti. Questa operazione ha sfruttato ancora una volta il potere della religione sugli anziani, così da rafforzare la sua personalità e il suo programma, indegno culturalmente.

Questa volta però facendo anche politica e dando un ottimo strumento di propaganda a Salvini, che aveva dimostrato due giorni prima, quanto politicamente fosse “preparato” in un altro programma tv dedicato, quello si, alla politica del paese.

Chiedo quindi che venga cancellato il suo programma definitivamente! Dopo che per anni ha sfruttato lo spazio per avere sempre più potere fino a creare una ridicola esperienza religiosa in diretta, con un politico.

Un insieme di cose non accettabili...e che sia il suo punto finale in tv.

ITALIA PAESE LAICO, rispetto per tutte le religioni, via la D’Urso dalla televisione! Non ha l’autorità ne religiosa ne di altro tipo, per esercitare funzione religiosa in diretta tv.

FIRMA QUI :
https://www.change.org/p/quimediaset-it-f-confalonieri-cancellare-i-programmi-di-barbara-d-urso-barbaradurso?recruiter=38606640&utm_source=share_petition&utm_medium=facebook&utm_campaign=psf_combo_share_initial&utm_term=12d984aec31746b1a67e4188948b7d2b&recruited_by_id=795dc020-40ae-0130-8549-3c764e044e9e&utm_content=fht-21213810-it-it%3Av5



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Esercizio Abusivo della Professione
Il presidente Enzo Iacopino pubblica su Facebook l'esposto contro la conduttrice che,
sebbene non sia iscritta all'albo,
 "compie un’attività specifica della professione senza rispettare le regole"
e con negative ripercussioni sull'immagine di quest’ordine...
https://cipiri17.blogspot.com/2020/04/barbara-durso-denunciata-da-ordine-dei.html

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Barbara d’Urso Denunciata da Ordine dei Giornalisti

Barbara d’Urso Denunciata da Ordine dei Giornalisti

Esercizio Abusivo della Professione

Il presidente Enzo Iacopino pubblica su Facebook l'esposto contro la conduttrice che,
sebbene non sia iscritta all'albo,
 "compie un’attività specifica della professione senza rispettare le regole"
e "con negative ripercussioni sull'immagine di quest’ordine"

“Ho firmato la prima denuncia/esposto nei confronti della signora Barbara D’Urso. Il femminicidio non si consuma solo con l’uccisione di una donna, ma, oltre la morte, anche con l’oltraggio alla sua vita e a quello della sua carne: i suoi figli”. Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, annuncia su Facebook la decisione di presentare la denuncia “a due Procure della Repubblica (Milano e Roma), all’Agcom, al Garante per la protezione dei dati personali e al Comitato Media e minori“. All’origine della decisione dell’ordine un’intervista che la conduttrice di Domenica Live ha fatto ad un amico di Elena Ceste, la donna scomparsa il 24 gennaio e trovata morta a metà ottobre nell’Astigiano. L’intervento è stato aspramente criticato sul web
per le ripetute illazioni sulle relazioni della vittima.

Nella denuncia si richiama l’attenzione sul susseguirsi nel programma televisivo di “interviste con modalità che non tengono conto di esigenze quali la difesa della privacy e/o il coinvolgimento di minori”. Dopo aver richiamato i limiti al diritto di cronaca posti dal codice di deontologia e dalla Carta dei doveri del giornalista, Iacopino evidenzia che “la signora D’Urso, pur non essendo iscritta all’Albo dei Giornalisti, compie sistematicamente un’attività (l’intervista) individuata come specifica della professione giornalistica, senza esserne titolata e senza rispettare le regole, con negative ripercussioni sull’immagine di quest’Ordine”. Il 23 novembre, Iacopino aveva preannunciato l’iniziativa giudiziaria in un post intitolato “Basta soubrette, ora le denunciamo“, in cui contestava la spettacolarizzazione del dolore e l’invasione della privacy nelle vicende di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, Melania Rea, Melissa Bassi,
Elena Ceste “e tutti coloro i quali a queste vicende sono collegati”.

“Noi giornalisti abbiamo il dovere di informare i cittadini, senza toni forti, senza speculazioni, senza strumentalizzazioni per fare audience”, ha detto Iacopino nel corso di un dibattito organizzato dal Comitato Unitario delle Professioni in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. “C’è un tipo di informazione che è un’autentica vergogna – ha aggiunto – ed è quella che io chiamo la tv del dolore, stile Barbara d’Urso, dove si esibisce la vita e la morte con l’unico obiettivo di acquisire attenzione da parte di un’opinione pubblica che forse non è il meglio di questa società”.

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mercoledì 1 aprile 2020

Matteo Salvini : Non Saprebbe Affrontare il Coronavirus


Matteo Salvini : Non Saprebbe Affrontare il Coronavirus

Matteo Salvini : Non Saprebbe Affrontare il Coronavirus

Matteo Salvini incassa l’attacco di Giuliano Ferrara, che su Il Foglio commenta molto duramente le posizioni e i toni del leghista in relazione all’emergenza coronavirus. L’ex ministro viene descritto come “un leader da quattro soldi che annaspa nello stagno dei propri errori e nello specchio dei propri marchiani difetti. Gestisce l’opposizione come una clava, da primitivo, con il nervosismo e l’immaturità di un bambino viziato e cattivo, disposto a tutto per stare in palcoscenico, e magari a trasformare la Bce o l’intera Europa in un nuovo mitico ‘porto chiuso’”.

L’editorialista de Il Foglio è convinto che, se fosse al governo, Salvini “sarebbe capace di isolare l’Italia in un padiglione speciale, in un lazzaretto di appestati. Quando cerca facile popolarità, spazio mediatico a buon prezzo, quando insegue la suggestione di una leadership ondeggiante, cafona, bugiarda, urlata, deformata dal nichilismo narcisista, tra gli annunci mortuari dell’Eco di Bergamo e la tragedia mondiale potenzialmente 'di proporzioni bibliche', e quando fa le sue flessioni muscolari in calzoncini e canotta, dopo aver invano aspettato di vedere se si potesse attribuire il virus ai negher, questo scampolo di razzismo e di frustrazione autoritaria all’italiana
è solo una tremenda vergogna, una sciagura nazionale”.

E ancora: “Non ha la minima credibilità per affrontare con persone normali questioni infinitamente più grandi e più dolorose di lui e delle sue mattane nevrotiche, è un soggetto pericoloso per le istituzioni - ha chiosato Ferrara - e l’averlo capito resterà, comunque la si pensi del Bisconte churchilliano e degli alacri costruttori del governo attuale, un merito indiscutibile. Avanti così. Meglio l’autocertificazione del bollo untuoso
 e scabroso di un piccolo caratterista del teatro della miseria politica”.



Matteo Salvini  E' Pericoloso per le Istituzioni


Matteo Salvini  E' Pericoloso per le Istituzioni


Matteo Salvini  E' Pericoloso per le Istituzioni

Matteo Salvini
E' Pericoloso per le Istituzioni

In questi giorni in cui è il Coronavirus a prendere il sopravvento, non mancano le polemiche di natura politica. E questa volta è il turno di Giuliano Ferrara a prendere la parola. Il noto giornalista si è scagliato senza mezzi termini contro Matteo Salvini. Il suo nuovo editoriale su Il Foglio è una critica aspra e senza peli sulla lingua nei confronti del leader della Lega. Giuliano Ferrara contesta ancora una volta la condotta populista dell’ex ministro dell’Interno, con una presunta mania di protagonismo che l’editorialista ha espresso nel suo articolo.

“Salvini è un leader da quattro soldi che annaspa nello stagno dei propri errori e nello specchio dei propri marchiani difetti – scrive Giuliano Ferrara in apertura del suo editoriale – . Gestisce l’opposizione come una clava, da primitivo, con il nervosismo e l’immaturità di un bambino viziato e cattivo, disposto a tutto per stare in palcoscenico, e magari a trasformare la Bce o l’intera Europa in un nuovo mitico ‘porto chiuso’“.

Giuliano Ferrara attacca ancora Salvini, questa volta per la sua condotta politica. Secondo il giornalista, emergono dei rigurgiti autoritari nel comportamento del leader leghista. “Se fosse al Governo, sarebbe capace di isolare l’Italia in un padiglione speciale, in un lazzaretto di appestati. Quando cerca facile popolarità, spazio mediatico a buon prezzo. Quando insegue la suggestione di una leadership ondeggiante, cafona, bugiarda, urlata, deformata dal nichilismo narcisista, tra gli annunci mortuari dell’Eco di Bergamo e la tragedia mondiale potenzialmente ‘di proporzioni bibliche’ Quando fa le sue flessioni muscolari in calzoncini e canotta, dopo aver invano aspettato di vedere se si potesse attribuire il virus ai negher, questo scampolo di razzismo e di frustrazione autoritaria all’italiana è solo una tremenda vergogna, una sciagura nazionale“.

E in tema di Coronavirus, Giuliano Ferrara sembra quasi contento che non ci sia Salvini a rappresentare il Governo nazionale. Anche perchè, come si legge nel suo editoriale, non sarebbe in grado di gestire una tale emergenza. “Non ha la minima credibilità per affrontare con persone normali questioni infinitamente più grandi e più dolorose di lui e delle sue mattane nevrotiche. È un soggetto pericoloso per le istituzioni e l’averlo capito resterà, comunque la si pensi del Bisconte churchilliano e degli alacri costruttori del governo attuale, un merito indiscutibile. Avanti così. Meglio l’autocertificazione del bollo untuoso
e scabroso di un piccolo caratterista del teatro della miseria politica“.

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sabato 15 febbraio 2020

Giulia Bongiorno ha ammesso che Salvini diceva Fregnacce


Giulia Bongiorno ha ammesso che Salvini diceva fregnacce

Ieri la senatrice della Lega Giulia Bongiorno, avvocato di fama, è intervenuta in aula al Senato sul caso Gregoretti, nei panni di difensore di Matteo Salvini. Il suo intervento, apprezzatissimo dai colleghi della Lega, è però importante soprattutto per un punto: quello in cui definisce quanto accaduto in occasione delle vicende che vedono oggi il Capitano in attesa di processo per il blocco della nave un “rallentamento” allo sbarco. E questo perché se si trattava di un rallentamento allo sbarco, allora tutto quello che Salvini ha ripetuto
 in questi mesi sui porti chiusi era in realtà una fregnaccia.

“Prenda un altro avvocato, più autorevole di me. Un avvocato che ha detto: “Noi della presidenza del
consiglio abbiamo lavorato perché bisogna ricollocare e poi consentire lo sbarco”. Ecco, in relazione
alla Gregoretti, queste sono le parole del presidente del consiglio, avvocato Conte”, dice Bongiorno tra gli applausi del Senato. Bongiorno conclude: “Aderiamo alla tesi del professore Conte sulla stretta connessione tra sbarchi e redistribuzione. Nessuno ha commesso un reato. Io credo che sia impossibile configurare un rallentamento allo sbarco come un sequestro di persona. Create questa nuova fattispecie incriminatrice, il rallentamento allo sbarco. E processate Salvini.

Ora, tutti hanno presente che Salvini ha ripetuto per mesi “porti chiusi, porti chiusi” per navi come la
Gregoretti. Ieri nell’aula del Senato, ovvero nel luogo più sommo, la sua avvocata ha certificato che il Capitano ha detto soltanto balle. Non voleva chiudere i porti, soltanto rallentare uno sbarco che
sarebbe comunque stato effettuato. Non è meraviglioso?


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La sceneggiata è stata disgustosa dall’inizio ( il blocco della nave Gregoretti della Marina Italiana ) fino alla fine i leghisti che escono dall’aula a momento del voto, dopo che salvini aveva giurato che li avrebbe fatti votare a favore dell’autorizzazione a procedere...
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Pagliacciata del Salvini a Processo

Pagliacciata del Salvini a Processo


Un povero cittadino, già di suo preoccupato di non perdere il lavoro o di vedere i figli che finalmente ne trovano uno decente (di “lavoretti” ne hanno pieni i cabbasisi),
avrebbe dovuto commuoversi per la telenovela Salvini?

Nonostante la grande collaborazione dei media – soprattutto di quelli che si dicono (dicono soltanto…) – anti-salviniani, pare proprio di no.

La sceneggiata è stata disgustosa dall’inizio (il blocco della nave Gregoretti della Marina Militare) fino alla fine (i
leghisti che escono dall’aula a momento del voto, dopo che “il Truce” aveva giurato che li avrebbe fatti votare a favore dell’autorizzazione a procedere).

Diciamolo subito chiaro: fanno schifo tutti.

Tutti infatti sapevano – o avevano ampia facoltà di sapere – che questo voto pro o contro il “mandare
Salvini a giudizio” era fuffa completa.

La richiesta di autorizzazione per l’autorizzazione a procedere contro un (ex) ministro per reati commessi nell’esercizio della sua funzione è infatti arrivata dalla
Procura di Catania, cui torneranno ora “gli atti”.

In teoria, secondo una sentenza della Corte Costituzionale, l’iter dovrebbe essere quello normale per
qualunque altro cittadino: «secondo le forme ordinarie, vale a dire per impulso del pubblico ministero e davanti agli ordinari organi giudicanti competenti».

Ma in pratica non è neanche chiaro quale ufficio del tribunale dovrà occuparsene. L’iter normale
prevederebbe infatti che a istruire il processo fosse lo stesso collegio che ha richiesto l’autorizzazione a procedere. Ma il procuratore capo Carmelo Zuccaro, secondo autorevoli cronisti ben introdotti nei
labirinti giudiziari, starebbe pensando
 di mandarlo invece davanti a un Gup (giudice dell’udienza preliminare).

In ogni caso, quello stesso procuratore aveva già espresso il suo parere sulla vicenda della nave
Gregoretti, richiedendo l’archiviazione dell’indagine perché non ci sarebbe stato alcun reato. Secondo quell’ufficio, infatti, il periodo di blocco in mare (quattro giorni) non sarebbe stato “congruo” per
giustificare il reato di sequestro di persona. E già qui ci sarebbe da ridere: se sequestriamo qualcuno
per 24 ore allora non c’è reato? Oppure non c’è solo se lo fa – lo ordina – un ministro?

Il procuratore Zuccaro, del resto, è anche quello diventato popolarissimo – a destra – per aver
sostenuto qualche tempo fa una tesi piuttosto hard: “A mio avviso alcune Ong potrebbero essere
finanziate dai trafficanti, e so di contatti, un giro di soldi, quello dell’immigrazione che parte dalla Libia che sta fruttando quanto quello della droga”.

Un procuratore non è però un opinionista, ha il potere di muovere la polizia giudiziaria per raccogliere prove di quel che dice. Ma non cercò o trovò nulla.

Al contrario, abbiamo saputo poi, era il governo italiano ad aver stretto accordi con il capo dei trafficanti, che guarda caso era ed è ancora il comandante della cosiddeta “guardia costiera libica” (lato Tripoli, cioè Al Serraj). Ossia con quel tal “Bija” ricercato dall’Onu ma che veniva accolto come un ospite gradito in sedi ministeriali e basi militari italiane in Italia.

A rigor di logica, insomma, la procura di Catania avrebbe dovuto aprire indagini contro i ministri che
avevano firmato quegli accordi con quella fazione libica: ossia prima Marco Minniti (Pd) e poi Matteo Salvini (Lega). Naturalmente non è stato fatto nulla.

A contestare al “Truce” il sequestro di persona per la nave Gregoretti – una nave militare italiana, non un “vascello nemico” – era stato infatti un altro magistrato, della procura di Caltanissetta, la cui indagine era poi stata assunta “per competenza territoriale” dalla sede di Catania.

Tutta questa ricostruzione serve a chiarire un fatto semplice e noto a tutti gli “addetti ai lavori”: Salvini non “rischia” niente da questa inchiesta. “L’accusatore” ha già chiesto il proscioglimento e in ogni caso aveva – incautamente, per un giudice – espresso
 le stesse convinzioni (infondate) del poi ministro dell’interno.

Però tutta la popolazione di questo disgraziato Paese è stata intrattenuta per mesi su una telenovela

priva di sostanza.P.s. Nonostante questo, “il Truce” ha pensato bene di non mantenere la sua stessa promessa. Invece di farli votare a favore dell’autorizzazione a procedere, ha spinto i suoi senatori a uscire dall’aula (non potevano neanche astenersi, perché al Senato, per regolamento, l’astensione vale come voto contrario; in questo caso all’”ordine del giorno Gasparri”
che consigliava di rigettare l’autorizzazione a procedere).

Questo è il rapporto di Salvini con le sue stesse promesse. Come dicono negli Usa: “acquistereste da
quest’uomo un’auto usata?”. E se non comprereste da lui neanche una vecchia auto, come potete
pensare di dargli un qualsiasi potere? Un tizio del genere può essere un “grandissimo pericolo”?

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I numeri che certificano il “crollo” della Bestia
Dopo l'avvento sulla scena politica delle Sardine, il leader della Lega ha perso le piazze .
Ma a seguito della sconfitta in Emilia Romagna, Salvini ha fatto un balzo indietro fino a
toccare un livello di coinvolgimento degli utenti mai così basso da anni...
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mercoledì 12 febbraio 2020

Salvini in Caduta Libera sui Social

Salvini in Caduta Libera sui Social


Salvini in Caduta Libera sui Social


 I numeri che certificano il “crollo” della Bestia
Dopo l'avvento sulla scena politica delle Sardine, il leader della Lega ha perso le piazze .
Ma a seguito della sconfitta in Emilia Romagna, Salvini ha fatto un balzo indietro fino a
toccare un livello di coinvolgimento degli utenti mai così basso da anni.

Salvini in Caduta Libera sui Social


Salvini in caduta libera sui social: i numeri che certificano il “crollo” della Bestia
C’è uno spettro che si aggira per i social. È il fantasma di Matteo Salvini. E non è un modo di dire: nelle ultime due settimane il leader della Lega è letteralmente sparito dalla home di milioni di italiani. Una percezione diffusa ampiamente confermata dai numeri: impietosi. Vero è che il mondo dei social network è tradizionalmente liquido e si muove alla velocità con cui Morgan cambia umore o il testo di una canzone. Ma, se tre indizi fanno una prova, abbiamo sufficienti elementi per poter parlare di crisi aperta nella macchina della comunicazione apparentemente
 infallibile della Lega, al secolo “La Bestia“.

Salvini in Caduta Libera sui Social


Per capire da vicino cos’è accaduto, è necessario fare un balzo all’indietro al 13 novembre 2019. È il
giorno prima del lancio ufficiale della campagna elettorale di Lucia Borgonzoni in Emilia-Romagna. La Lega sta organizzando la grande serata del Paladozza che, nelle intenzioni di Morisi & C., avrebbe dovuto essere la location perfetta dello sbarco dell’alieno Salvini nella terra rossa per eccellenza. Una sorta di prova generale di una cavalcata trionfale che avrebbe dovuto cambiare la storia di questa
regione e, a stretto giro, dell’Italia. In quel momento esatto, la pagina Facebook personale di Matteo Salvini viaggia saldamente attorno ai 10 milioni di interazioni a settimana, con una media di 120 post prodotti ogni sette giorni e 3,8 milioni di followers netti sulla pagina (vale a dire di seguaci che hanno scelto di mettere il like). Numeri che ne fanno la pagina personale numero uno in Italia sotto tutti i parametri, staccando di più del doppio i diretti inseguitori.

Salvini in Caduta Libera sui Social


Il giorno successivo, senza alcun reale preavviso, si abbatte come un asteroide sulla scena italiana un
nuovo movimento civile e di piazza che, in una notte di novembre apparentemente come altre, riempie piazza Maggiore, a Bologna, e cambia la storia non solo delle elezioni regionali ma della storia politica recente di questo Paese. Si fanno chiamare Sardine e, in meno di 24 ore, diventano il nemico numero di Salvini. Si può dire senza tema di smentita che c’è un prima e c’è un dopo le Sardine, il cui avvento provoca sostanzialmente due effetti
 conseguenti e per certi versi in contraddizione.

Il primo: Salvini perde le piazze. O, per essere più precisi, non le perde: scompare proprio. Dall’ultima adunata di popolo di piazza San Giovanni a Roma, il 19 ottobre scorso, e con ancora più evidenza dalla nascita delle Sardine, il numero uno della Lega evita le piazze come se dei cecchini sparassero a vista dai tetti e si rifugia puntualmente in palasport, palestre, tendoni, bar, ristoranti, viuzze laterali, sedi di partito, ovunque ci sia un luogo “bonificato” dal rischio flop e nessun rischio di confronto con le sardine, che da Bologna in poi nuotano in mare aperto inondando l’Emilia-Romagna e l’Italia con ondate oceaniche che a sinistra non si vedevano da tre lustri abbondanti.

Il secondo, che altro non è che un effetto del primo: la crescita esponenziale della “Bestia” sui social, su ogni piattaforma, sull’intera galassia di pagine più o meno direttamente legate a Lega Salvini Premier, e in particolare sulla propria pagina Facebook, con un boom che ha pochi precedenti nella storia del social network inventato da Mark Zuckerberg. Nel giro di appena due mesi, le interazioni settimanali passano dai 10 milioni di novembre ai quasi 14 milioni di fine gennaio, in coincidenza con l’apice della campagna elettorale in Emilia-Romagna e Calabria, mentre il numero complessivo di follower cresce dai 3,8 milioni agli attuali 4,1, con un aumento netto addirittura del +7,5 per cento: una performance sbalorditiva per una pagina che era già la più seguita dell’intero social network e i cui margini di crescita erano, almeno in apparenza, pressoché nulli.

Anche il numero complessivo di post e video è cresciuto a dismisura, superando abbondantemente
quota 200 settimanali, ma senza giustificare da soli un progresso così repentino. Quanto abbiano inciso su questo boom il “doping” digitale di profili fake e bot acquistati in batteria è difficile tanto da affermare quanto da dimostrare. Limitandoci ad osservare i numeri nudi e crudi, non è difficile ravvisare come il successo delle “sardinate” abbia provocato e, in un certo senso, alimentato una risposta social prepotente della “Bestia”, che ha trovato nel movimento di Mattia Santori al tempo stesso un avversario e uno sparring partner abbastanza forte
 e credibile da poter essere utilizzato di sponda e in contrasto.

D’altra parte, la comunicazione leghista è stata per anni un modello inarrivabile nell’uso dell’influenza dell’avversario come arma per la propria propaganda. Basti pensare a quando i personaggi di riferimento della sinistra – da Saviano a Renzi, alla Boldrini – venivano mostrati in serie, a ridosso delle grandi manifestazioni sovraniste, con tanto di foto
e quattro parole diventate un mantra: “Lui (o lei) non ci sarà”.



Fermi tutti, so cosa state pensando. “Ma questo non era un articolo sul crollo social della Lega?” E
ancora: “Ma quale crollo? Dopo un boom del genere, quello di oggi è un normale calo fisiologico.” Le risposte a questi dubbi, più che legittimi, sono rispettivamente: Sì e No. Più esattamente: Sì, ora
arriviamo al crollo. E No: non si tratta di un semplice calo fisiologico.

Sono trascorse più di due settimane dalle elezioni regionali che hanno visto Bonaccini sconfiggere
nettamente Lucia Borgonzoni, fermando un filotto di dieci vittorie (considerando anche la Calabria) che avrebbe consegnato, di fatto, a Salvini non solo le chiavi della regione rossa per eccellenza ma dell’Italia intera. L’impatto emotivo, prima ancora che numerico e politico, di quella notte – ora lo
sappiamo, numeri alla mano – è stato devastante. Per la prima volta quel treno in corsa lanciato verso
la conquista del Paese si è fermato bruscamente in stazione, con il doppio effetto di rafforzare gli
avversari interni (su tutti Giorgia Meloni e i malpancisti dentro il partito sin qui rimasti silenti) e di mettere a nudo, per la seconda volta dopo il colpo di sole del Papeete, tutte le fragilità della Bestia sul terreno a lei caro: la comunicazione social.

A certificarlo in modo impietoso ci sono gli insight della F più famosa del mondo: nell’ultima settimana le interazioni complessive di Matteo Salvini si sono fermate a 6,6 milioni, mentre sia il numero di follower, sia il numero di post è rimasto invariato. Un risultato che, se gli permette di mantenere il primato, resta un dato straordinariamente deludente per una pagina da oltre 4 milioni di follower. Per spiegarlo ancora meglio: dopo la sconfitta in Emilia-Romagna, Salvini non è “fisiologicamente” tornato ai 10 milioni di engagement pre-elettorale, ma ha fatto un balzo indietro addirittura di quasi 8 milioni di interazioni (per un clamoroso -60 per cento), fino a toccare un livello di coinvolgimento degli utenti mai così basso da anni.

Altro che calo fisiologico: siamo di fronte a una Waterloo social, che in casa Lega stanno vivendo in
queste ore con un clima di crescente apprensione.

Già domani, mercoledì 12 febbraio, con il voto sulla Gregoretti e l’atteso intervento del leader della
Lega in Senato, la pagina è destinata a subire un inevitabile impatto positivo in termini di reazioni. Ma questi numeri rappresentano un campanello d’allarme che nessuno si può permettere di sottovalutare, e dimostra per la prima volta in maniera plastica una tesi con cui chiunque si occupi di comunicazione politica social prima o poi deve fare i conti: che la propaganda virtuale funziona nella misura in cui funge da grancassa di un clima di consenso esistente o quantomeno percepibile nella società reale, di cui post e tweet sono uno straordinario propellente virtuale. Ma, nel momento in cui la macchina va a sbattere, viene sconfitta alle urne (non accadeva dal 2016) e si dimostra vulnerabile, Facebook e Instragram, da soli, non bastano per evitare lo scontro, ma, anzi, per certi versi, rendono ancora più manifesta la difficoltà del momento, come la linea di mercurio su un termometro.

Chi si illude che basti questo per sconfiggere Salvini resterà deluso, anche perché il Pd e la sinistra in
generale, seppur in minima crescita, sui social gioca ancora due leghe più in basso, ma certo qualche
crepa comincia timidamente a intravedersi. Per la prima volta la Bestia è nuda.
 E francamente non è un bel vedere.
Di Lorenzo Tosa

Francesco Belsito, tesoriere della Lega condannato in appello per appropriazione indebita, che in Costa d’Avorio si sarebbe visto bloccare un carico di opere d’arte in quanto in una delle casse ci sarebbero stati milioni di euro in banconote da cento

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sabato 8 febbraio 2020

Tolti al Sud e dati al Nord 840 miliardi di euro in 17 anni

Tolti al Sud e dati al Nord 840 miliardi di euro in 17 anni


Chi riteneva e ritiene che parlare di rapina al Sud è una bufala, è servito.
 Cosa ti accerta il rapporto 2020 del noto Centro studi? Che dal 2000 al 2017
 lo Stato Italiano ha sottratto appunto al Sud 840 miliardi di euro

E ora anche l’Eurispes. Chi riteneva e ritiene che parlare di rapina al Sud è una bufala, è servito. Cosa ti accerta il rapporto 2020 del noto Centro studi? Che dal 2000 al 2017 lo Stato italiano ha sottratto appunto al Sud 840 miliardi di euro, in media 46,7 miliardi all’anno. Non solo sottratti, ma dati al Nord. Effetto del mancato rispetto del famoso 34 per cento, la percentuale della popolazione meridionale che avrebbe dovuto essere anche la percentuale della spesa al Sud. Ecco perché il divario aumenta invece di diminuire. Ecco perché i giovani del Sud sono costretti a partire per la mancanza di lavoro. Uno scandalo nazionale ancòra più grande quanto più assoluto
 è stato il silenzio per tutto questo tempo. 

Con l’aggiunta delle tre regioni del Nord che chiedono autonomia perché stanche, dicono, di dare soldi al Sud. Non ha usato mezzi termini Gian Maria Fava, il sociologo presidente dell’Eurispes. Ha detto che sulla Questione meridionale dall’Unità a oggi si sono consumate le più menzogne. Col Sud di volta in volta descritto come la sanguisuga del resto d’Italia. Come luogo di concentrazione del malaffare. Come ricovero di nullafacenti. Come zavorra che frena la crescita economica e civile del Paese. Come dissipatore della ricchezza nazionale. Ma un Sud che attende ancòra una parola di onestà da parte di chi ha alimentato questo racconto. Mentre la situazione è letteralmente capovolta rispetto a quanto finora comunemente creduto e spacciato. E rivelata dai dati delle più autorevoli agenzie nazionale e internazionali.

Ma anche questa volta si è tentato di far scivolare tutto nel silenzio. Scarsi accenni sulla stampa nazionale, impegnata col Festival di Sanremo. Ancòra più scarse reazioni dal mondo politico, impegnato a litigare. Eppure l’Eurispes ha più o meno confermato ciò che pure la Svimez aveva solo qualche mese fa denunciato. E in base agli stessi dati governativi dei Conti pubblici territoriali, non a piagnonismo meridionale. E cioè i 61 miliardi all’anno sottratti al Sud dal 2009, da quando si sarebbe dovuto riequilibrare la spesa pubblica che favorisce il Nord. Quanto lo stesso ex ministro nord-leghista Calderoli aveva ammesso invitando a cambiare.

Non se ne è fatto nulla, tranne l’iniziale impegno del ministro Boccia a provvedere quando si è riparlato dell’autonomia a Veneto, Lombardia, Emilia Romagna. E tranne un impegno verbale del presidente Conte. Ma intanto la spesa storica ai danni del Sud continua. E ai danni del Sud continua a essere usata la consueta arma di distrazione di massa. Di chi la colpa del suo incompleto sviluppo? Delle incapaci classi dirigenti meridionali. Della mancanza di mentalità imprenditoriale. Della società civile che non c’è. Delle mafie che al Sud farebbe piacere avere. Descrizione con la complicità di anime belle meridionali, tanto capaci di brillante autocritica (ma quale?) quanto incapaci di uscire dal loro colonialismo mentale. O forse interessate a non muovere nulla
 per sfruttare piccoli miseri vantaggi personali.

Così storici, giornalisti, saggisti, benpensanti. Che molti dei mali attribuiti al Sud ci siano, è sicuro. Ma sono la causa del suo sottosviluppo o un effetto di questo sottosviluppo? Scrive in questi giorni un lettore (settentrionale) a un giornale nazionale: non ci sono dubbi che fare politica al Sud è più difficile con una disoccupazione da quarto mondo. Non ci sono dubbi che la pressione per avere di che vivere è il peso con cui ogni amministratore del Sud deve confrontarsi. Non ci sono dubbi che i bisogni non soddisfatti delle persone sono alla base di ogni problema. Non ci sono dubbi che senza servizi e infrastrutture adeguati non c’è possibilità di miglioramento né di allentamento delle tensioni sociali. Ma come si risponde a tutto questo? Si risponde che il Sud deve rimboccarsi le maniche e riconoscere le proprie colpe. La colpa è vostra.
E troppo Sud ignaro o rassegnato o complice risponde che, sì, la colpa è solo nostra.

Inutile dire cosa si poteva fare con 46,7 miliardi l’anno. Quante strade, quanti treni, quante scuole, quante università, quanti ospedali, quanti asili nido, quanti anziani curati, quanti figli. Quanto lavoro per i giovani che non emigrino più. Tutto quanto non c’è mentre si parla di sprechi del Sud quando c’è soprattutto spreco di Sud come unica possibilità di crescita dell’intero Paese (che infatti non cresce). E condizioni di partenza diseguali che restano il comodo alibi di chi si adegua invece di reagire. Non si trova altrove un tale clima di colossale ribaltamento della verità e un tale clima di colossale sfruttamento di una parte del Paese a danno dell’altra. Non si trovano altrove una ingiustizia e una menzogna così lunghe e impunite.

Lino Patruno


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martedì 4 febbraio 2020

30 gennaio 1945 Le Donne Italiane Conquistavano il Diritto al Voto


30 gennaio 1945  Le Donne Italiane Conquistavano il Diritto al Voto



30 gennaio 1945: allora fu mosso il primo passo verso il suffragio femminile. Quel giorno di 75 anni fa, il Consiglio dei ministri deliberò la “concessione” del diritto di elettorato attivo e passivo, che avrebbe poi portato al Decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 1° febbraio dello stesso anno. “Estensione alle donne del diritto di voto”, si intitolava, con buona esclusione,
 però, delle minori di 21 anni e delle prostitute.

In una Italia ancora monarchica e sugli sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale, quella lungimirante riunione del Consiglio dei ministri che conferiva il diritto di voto politico e amministrativo alle donne fu dovuta alla pressione di Togliatti (Partito Comunista) e del democristiano De Gasperi. Una svolta che, in ogni caso, era dettata da un momento storico in cui una Nazione come la nostra non poteva più sottrarsi ai richiami di una certa modernità.

L’estensione porta la firma di Umberto di Savoia (capo del Governo era allora Ivanoe Bonomi) e fu solo un anno più tardi che le donne ebbero la possibilità di essere anche elette, oltre che eleggere.

Come si è arrivati al suffragio universale
A onor del vero, non è stato soltanto nel 1945 che si è parlato di diritto al voto per le donne. Già
secondo il Programma di San Sepolcro dei Fasci di combattimento del 1919 il diritto di voto doveva
essere esteso alle donne, tanto che Mussolini sembrava intenzionato a concedere questo diritto
“cominciando dal campo amministrativo” (una tattica per prendere più consensi), ma non se ne fece poi più nulla, sia a causa della riforma podestarile del 1926, sia per la riforma elettorale del 1928.

Anni dopo, nel clima della Seconda Guerra Mondiale (novembre 1943), il Partito comunista fondò a
Milano i Gruppi di Difesa della Donna e per l’Assistenza ai Volontari della Libertà: un’organizzazione costituita da donne unite per manifestare contro la guerra, assistere famiglie in difficoltà, supportare i partigiani. E mesi dopo, proprio i partiti capeggiati da De Gasperi e Togliatti si dissero favorevoli alll’estensione del voto anche alle donne: fu così che prese forma il decreto De Gasperi-Togliatti, meglio conosciuto come decreto Bonomi, dal nome del Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia.

Nel mese di settembre del 1944, sempre grazie al Partito comunista, a Roma fu fondata l’Unione Donne Italiane, nella quale vennero inseriti i Gruppi di Difesa della Donna e dalla quale poi prese corpo una nuova organizzazione, il Centro Italiano Femminile, di ispirazione più destrorsa e cattolica.


Nell’ottobre 1944 la Commissione per il voto alle donne dell’UDI e altre associazioni presentarono al governo Bonomi un documento nel quale parlavano della necessità di concedere il suffragio universale e verso la fine del mese sorse il Comitato Pro Voto,
volto a far conquistare il diritto di voto alle donne.

Nel gennaio del 1945, Togliatti inviò una lettera a De Gasperi nella quale affermava come inevitabile la questione del voto alle donne nell’imminente Consiglio dei ministri e fu così che il 30 gennaio 1945, nella riunione del consiglio, come ultimo argomento, si discutesse proprio del voto alle donne. La maggioranza dei partiti (si esclusero liberali, azionisti e repubblicani) si dimostrò favorevole
all’estensione. Il 1 febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 che
conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni, secondo il quale le uniche donne a essere escluse erano le prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era loro
concesso di esercitare la professione (le cosiddette “vaganti”, citate all’art. 3).

Anche dal clero ci fu un’apertura verso il suffragio: il 21 ottobre del ‘45 Papa Pio XII annunciò:
“Ogni donna, dunque, senza eccezione, ha, intendete bene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere assente, di entrare in azione […] per contenere le correnti che minacciano il focolare, per combattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta,
per preparare, organizzare e compiere la sua restaurazione”.

Il decreto Bonomi tuttavia ancora non si riferiva alla possibilità di un elettorato passivo per le donne,
cioè della possibilità di essere votate. Trascorse, infatti, almeno un anno prima che le donne italiane – di almeno 25 anni – potessero godere dell’eleggibilità (Decreto n. 74 del marzo 1946).

Le prime elezioni amministrative alle quali le donne furono chiamate a votare si svolsero a partire dal 10 marzo 1946 in 5 turni, mentre le prime elezioni politiche (svolte assieme al Referendum istituzionale monarchia-repubblica) si tennero il 2 giugno 1946.

Alle elezioni del 2 giugno 1946 per l’elezione dei deputati dell’Assemblea Costituente, le donne elette risulteranno 21. Di queste, cinque (Maria Federici, Angela Gotelli, Nilde Jotti, Teresa Noce, Lina Merlin), faranno parte della Commissione per la Costituzione incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana.

La curiosità
Il 2 giugno del 1946, il Corriere della Sera pubblicava un articolo con il quale invitava le donne a
presentarsi al seggio elettorale senza rossetto sulle labbra, pena qualche segno di riconoscimento sulla scheda. C’era, infatti, il rischio che le donne, nell’umettare il lembo da incollare, avrebbero,
involontariamente, lasciato una traccia di rossetto:
“Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne
nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque,
 il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”.


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Liliana Segre al Parlamento europeo
Il #Razzismo c'è sempre nei poveri di spirito e c'è chi ne approfitta...
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sabato 1 febbraio 2020

Identikit dell’Italiano Medio

Identikit dell’Italiano Medio


Nega la Shoah, ‘assolve’ Mussolini e giustifica l’Evasione Fiscale

Un paese in difficoltà economica, diffidente con gli immigrati, che ha poca fiducia nelle istituzioni e che vede crescere anche i negazionisti della Shoah e coloro che ‘assolvono’ Benito Mussolini. È l’identikit che fa degli italiani il 32esimo “Rapporto Italia  2020” dell’Eurispes,
presentato nell’Aula Magna della Sapienza.

POCA FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI – Meno del 15% esprime fiducia nel sistema delle Istituzioni del nostro Paese. Nel 2020, la quota di chi ha un atteggiamento positivo si ferma al 14,6% (-6,2% rispetto al 2019, anno in cui si era registrato il miglior risultato dal 2014); poco meno della metà (46,6%) indica che la fiducia non ha subìto variazioni (39% nel 2019). Gli sfiduciati, però diminuiscono dal 29,4% al 24,9%. Lo rileva il 32mo ‘Rapporto Italia 2020’ dell’Eurispes.

La Guardia di Finanza si posiziona in alto nella classifica delle tre Forze di Polizia e arriva a guadagnare l’apprezzamento di sette italiani su dieci (70,4%, +2,1% rispetto al 2019). A seguire, si posiziona la Polizia di Stato con il 69% della fiducia (-2,5% rispetto al 2019). In lieve discesa l’Arma dei Carabinieri dal 70,5% al 65,5% (-5%), la Difesa e l’Intelligence. La fiducia nei confronti di Esercito, Aeronautica e Marina si attesta intorno al 72%. Il sistema di Intelligence ottiene la fiducia del 64,1% degli italiani.Gli “Angeli in tuta rossa”Entrati a far parte della rilevazione Eurispes solo negli ultimi tre anni, i Vigili del Fuoco nel 2020 godono della fiducia dell’84,3% degli italiani, nonostante un calo di 3 punti di consenso rispetto al 2019. Le altre Istituzioni, “volano” le altre confessioni religiose (+10%) e i sindacati (+8,5%)Vanno oltre il 50% e seguono un trend positivo di consensi le associazioni dei consumatori (dal 53% del 2019 al 58,4%; +5,4%); le associazioni di volontariato (dal 64,2% al 70%; +6,2%); la Chiesa cattolica (dal 49,3% al 53,4%; +4,1%); il sistema sanitario (dal 62,3% al 65,4%; +3,1%). Di segno positivo anche i risultati delle associazioni degli imprenditori, passate dal 43,2% dei consensi nel 2019 al 49,4%.

I sindacati avanzano di ben 8,5 punti (dal 37,9% al 46,4%); le altre confessioni religiose aumentano di 10 punti (dal 29,8% al 40,2%). In lieve calo, il sistema scolastico che passa dal 67,4% al 65% e la Protezione Civile dal 79,2% al 77,8%. Stabili partiti (dal 27,2% al 26,6%) e Pubblica Amministrazione (dal 34,7% al 34,3%).

CALA IL CONSENSO DEL GOVERNO – Poco più di un quarto degli italiani (26,3%) ripone fiducia nell’attuale Governo, oltre dieci punti in meno rispetto al 2019 (36,7%). Il Parlamento registra un decremento di cinque punti con solo uno su quattro che si fida (25,4%; erano il 30,8% nel 2019). La fiducia nei confronti della Magistratura continua a crescere, sebbene non riesca ad oltrepassare la soglia della metà dei consensi (49,3%, +2,8% rispetto al 2019).

I NEGAZIONISTI DELLA SHOAH E ANTISEMITISMO – Il 15,6% degli italiani nega la Shoah. Un numero impressionante: è infatti aumentato negli ultimi quindici anni in modo molto significativo, passando dal 2,7% del 2004 al 15,6% di quest’anno. L’affermazione secondo la quale gli ebrei controllerebbero il potere economico e finanziario- prosegue il rapporto Eurispes – raccoglie il generale disaccordo degli italiani (76%), non manca però chi concorda con questa idea (23,9%). Gli ebrei controllerebbero i mezzi d’informazione a detta di più di un quinto degli italiani intervistati (22,2%), mentre i contrari arrivano al 77,7%. La tesi secondo cui gli ebrei determinano le scelte politiche americane incontra la percentuale più elevata di consensi, pur restando minoritaria: il 26,4%, contro un 73,6%. Rispetto all’affermazione che l’Olocausto degli ebrei non è mai accaduto, la quota di accordo si attesta al 15,6%, a fronte dell’84,4% non concorde. Invece,l’affermazione secondo cui l’Olocausto non avrebbe prodotto così tante vittime come viene sostenuto trova una percentuale di accordo solo lievemente superiore: 16,1%, mentre il disaccordo raggiunge l’83,8%.

Nel 2004 per oltre un terzo del campione (34,1%) gli ebrei controllavano in modo occulto il potere economico e finanziario, nonché i mezzi d’informazione, mentre oggi la percentuale risulta inferiore ad un quarto. Aumenta invece il numero di cittadini secondo i quali lo sterminio degli ebrei per mano nazista non è mai avvenuto: dal 2,7% al 15,6%. Risultano in aumento, sebbene in misura meno eclatante, anche coloro che ne ridimensionano la portata (dall’11,1% al 16,1%).

Secondo la maggioranza degli italiani,recenti episodi di antisemitismo sono casi isolati, che non sono indice di un reale problema di antisemitismo nel nostro Paese (61,7%). Al tempo stesso, il 60,6% ritiene che questi episodi siano la conseguenza di un diffuso linguaggio basato su odio e razzismo. Per meno della metà del campione (47,5%) gli atti di antisemitismo avvenuti anche in Italia sono il segnale di una pericolosa recrudescenza del fenomeno. Per il 37,2%, invece,
sono bravate messe in atto per provocazione o per scherzo.

L’ASSOLUZIONE DI MUSSOLINI – Sempre nel 32esimo ‘Rapporto Italia 2020’ dell’Eurispes, al campione è stato chiesto quali affermazioni esprimono al meglio l’anima politica della maggioranza degli italiani. Trova un discreto consenso l’affermazione secondo cui “molti pensano che Mussolini sia stato un grande leader che ha solo commesso qualche sbaglio” (19,8%). Con percentuali di accordo vicine tra loro seguono “gli italiani non sono fascisti ma amano le personalità forti” (14,3%), “siamo un popolo prevalentemente di destra” (14,1%), “molti italiani sono fascisti” (12,8%) e, infine, “ordine e disciplina sono valori molto amati dagli italiani” (12,7%). Oltre un italiano su quattro (26,2%) non condivide nessuna delle opinioni presentate.

LA RINUNCIA AI CONTROLLI MEDICI – Per contenere le spese nell’ultimo anno, il 32,5% degli italiani ha rinunciato a effettuare controlli medici e di prevenzione e il 27,3% ha tagliato sulle spese dentistiche; il 24,8% ha fatto a meno di trattamenti ed interventi estetici. In misura minore, un italiano su cinque (20%) ha rinunciato a terapie ed interventi medici o a sottoporsi a visite specialistiche per la cura di patologie specifiche (20,1%). Il numero di residenti in Sicilia e Sardegna che hanno dovuto rinunciare a visite specialistiche per disturbi o patologie specifiche è quasi il doppio della media rilevata nelle altre regioni (40%, contro un dato nazionale del 20%).
Lo rileva il 32mo ‘Rapporto Italia 2020’ dell’Eurispes.

IL RAPPORTO ‘NEGATIVO’ CON I MIGRANTI – Quattro italiani su dieci (40,3%) definiscono il proprio rapporto con gli immigrati “normale”, quasi uno su cinque (19,4%) parla di reciproca indifferenza, il 14,4% di reciproca disponibilità, mentre un decimo trova gli immigrati ostili (10,1%), l’8,1% li trova insopportabili, il 7,7% afferma di temerli. Secondo il 45,7% degli italiani un atteggiamento di diffidenza nei confronti degli immigrati è “giustificabile, ma solo in alcuni casi”. Per quasi un quarto (23,8%) guardare con diffidenza gli immigrati è “pericoloso”, per il 17,1% (+6,7% rispetto al 2010) è “condivisibile”, per il 13,4% è “riprovevole” (-4,3% rispetto al 2010).

I PROBLEMI ECONOMICI – Secondo la maggioranza degli italiani la situazione negli ultimi 12 mesi è rimasta stabile (37,9%), il 37,5% ha riscontrato invece un peggioramento netto o parziale. Circa un cittadino su dieci (14,3%) nota un miglioramento; il 10,3% non esprime una valutazione. Rispetto al 2019 aumentano, seppur timidamente, gli ottimisti (+1,6%) e diminuisce la percentuale di quanti ravvisano un peggioramento (-1,1%). Nelle Isole il disagio di un’economia negativa è profondo e arriva al 72%, con una distanza con le altre aree geografiche del Paese che arriva a segnare un divario tra i 30 e oltre i 40 punti percentuali. Quasi la metà delle famiglie (47,7%) è costretta ad utilizzare i risparmi per arrivare a fine mese (+2,6% rispetto al 2019); ma crescono seppur di poco quelle che riescono a risparmiare (23,7%; +1,7%).

Saldare la rata del mutuo rappresenta un ostacolo per il 34,1% degli italiani (+1,4%), mentre migliora la situazione del pagamento degli affitti (38,7%; -11,3%); in lieve discesa anche la difficoltà a pagare le utenze domestiche (26,1%; -1,6%).
Far fronte alle spese mediche è un problema per il 22,3% degli italiani (+1,2%).

Nel corso del 2020 oltre la metà non ce la farà a risparmiare Il 27% degli italiani probabilmente non riuscirà a risparmiare nei prossimi dodici mesi e il 24,8% ne è certo; il 17,7% ritiene che ci siano buone probabilità di farcela e solo il 5,2% ne è sicuro. Nella crisi la famiglia resta un porto sicuro. Non potendo accedere al credito bancario, 1 italiano su 10 è vittima di usura. Un terzo degli italiani (33,3%) è dovuto ricorrere al sostegno economico della famiglia di origine per far fronte alle difficoltà economiche. Si affianca a questo dato il 12,4% di chi è stato costretto a tornare a vivere nella casa della famiglia di origine. Nel 14,9% dei casi un aiuto finanziario è arrivato da amici, colleghi o altri parenti (-0,2% rispetto al 2019).

Pur di lavorare molti accettano impieghi senza contratto (21,5%) o svolgono più lavori contemporaneamente (23,9%). Almeno un italiano su dieci (11,9%) è caduto nelle maglie dell’usura non potendo accedere al credito bancario (erano il 7,8% nel 2018 e il 10,1% nel 2019).

UNO SU DUE ‘SICURO’ NELLA PROPRIA CITTA’ – Il 53,2% degli italiani ritiene di vivere in una città abbastanza o molto sicura; sul versante opposto, il 30,4% giudica la propria città come poco o per niente sicura. La paura di subire reati negli ultimi due anni nella maggior parte dei casi è rimasta invariata (68,5%); sono diminuiti coloro che hanno più paura (dal 30% al 24,5%), ma solo il 7% afferma che la paura sia diminuita (-10,9% rispetto al 2019).

Sul tema ‘in difesa e non all’attacco: come ci si protegge’, i provvedimenti adottati negli ultimi due anni per sentirsi più sicuri hanno visto la maggioranza degli italiani installare grate alle finestre (28,7%), un sistema di allarme (28,6%) o una porta blindata (27,3%). Alcuni (11,1%) portano con sé, per sentirsi al sicuro, uno spray al peperoncino, un coltello (9,2%)
o hanno acquistato un’arma da fuoco (8%).

CRITICHE A QUOTA 100 E REDDITO DI CITTADINANZA – Tra le misure attuate o proposte dal Governo le più criticate sono il reddito di cittadinanza con il 67,1% delle indicazioni negative e la Sugar Tax (67,4%); anche la Flat Tax incontra la disapprovazione dei più (62,6%).L’introduzione di Quota 100 è apprezzata da sei cittadini su dieci (59,2%) e un numero simile si esprime positivamente sull’autonomia delle Regioni (57,6%); conquista, anche se non in maniera netta, la tassa sulla plastica (51%). Lo rileva il 32mo ‘Rapporto Italia 2020’ dell’Eurispes.

ESTENDERE L’OBBLIGO SCOLASTICO – Estendere l’obbligo scolastico fino alle scuole medie superiori trova d’accordo il 52,4% degli italiani. Sei mesi di servizio civile obbligatorio finita la scuola dell’obbligo è un’idea che piace nel 54,1% dei casi. Molti meno (48,2%) concordano sull’opportunità di introdurre nel sistema scolastico un criterio meritocratico per la retribuzione degli insegnanti più bravi e preparati. Solo il 32,9% degli intervistati ritiene una proposta valida il prolungamento dell’anno scolastico fino a luglio; accolta in maniera negativa anche l’eventualità della riduzione del numero delle Università presenti in Italia (il 33,3% si dice favorevole).Tra le agenzie educative, la scuola viene relegata ad un ruolo di secondo piano e considerata formativa per la propria esperienza di vita solo nel 6,5% dei casi. È la famiglia, al contrario, ad aver influito maggiormente sull’educazione degli italiani intervistati (47%). Più dell’approfondimento dei grandi eventi storici (47,6%) i programmi scolastici relativi allo studio della storia dovrebbero privilegiare i fatti della storia recente (52,4%).
Questa richiesta arriva soprattutto dai giovani
 (il 57,1% dei 18-24enni e il 65% dei 25-34enni).





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